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228 le confessioni d’un ottuagenario.

Dall’Arno all’Adriatico furono tre giorni; e da Ancona a Roma dieci, perchè s’avanzava coll’intera legione, e non essendo avvezzi a camminar molto, bisognava cominciare con precauzione. Allora ebbi agio a convincermi che i primi nemici che un esercito nuovo incontra nelle sue imprese, sono i polli ed i preti. Non valevano nè minaccie nè rimproveri nè castighi. Pollo voleva dir schioppettata, e prete burla e baldoria. Ammazzavano i polli per mangiarli in casa del prete e bere del suo vino; del resto tutto finiva lì, e se gli abati erano gente della legge, con un sinsino di disinvoltura e una patina di politica finivano col separarsi ottimi amici. Uno di cotali arcipreti bastava per un giorno a far propendere in favore di Pio Sesto gli animi della intera legione; gli è vero che a quel tempo il cardinal Chiaramonti aveva messo d’accordo Religione e Repubblica colla sua famosa Omelia, e si poteva propendere in favore di tutti. Per me più vado innanzi, e più m’avvedo che ogni religione ci guadagna assai a tenersi lontana dalla politica. Gli è inutile; nè l’olio si mescolerà mai coll’aceto, nè il sentimento alla ragione, senzachè nascano sostanze spurie e scipite.

Eccoci finalmente a Roma. Io ne avevo una voglia che non ne poteva più. Sentivo che Roma solamente avrebbe potuto farmi dimenticar la Pisana; e mentre pur mi confidava in una cotale dimenticanza, andavo almanaccando che cosa ne poteva esser di lei, architettava congetture creava e ingigantiva paure, dava corpo e movimento alle ombre più mostruose che si potessero vedere. I suoi cugini di Cisterna capitati da poco a Venezia, Agostino Frumier, quello slavato, Raimondo Venchieredo lo schernitore, mi parevano ad ora ad ora altrettanti rivali; ma tutte queste supposizioni svanirono, quando lettere dell’Aglaura e di Spiro mi confermarono l’assenza della Pisana e che la sua famiglia nulla sapeva e poco curava sapere di lei. La con-