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220 le confessioni d'un ottuagenario.

anni pel capo, vederla e innamorarsene era stato tutt’uno: ma se gli era opposto invincibile l’amore di quell’Emilio, al quale, senza conoscerlo, aveva votato un odio immortale. L’odio si convertì in furore, e l’amore s’accrebbe di tutta la tenerezza della pietà, quando avea saputo l’infame condotta, l’impostura e i tradimenti di quel giovane, di cui qualche barlume dovea essere trapelato anche all’Aglaura.

— Oh sì! certo; — saltò a dire l’Aglaura — per cos’altro credete ch’io mi movessi di Venezia, se non per punirlo della sua perfidia verso la patria?

— Oh perchè dunque mi proibivi sempre di biasimarlo? — soggiunse Spiro.

— Perchè? — riprese l’Aglaura con un filettino di voce. — Aveva paura di te... di te, mio fratello!

— Ah! è vero! — gridò il povero giovane. — Ero un infame!... Ma come comandar sempre ai propri occhi?... Come crederti e trattarti come sorella, quando sapeva che non lo eri, quando covava per te un amore antico di quindici anni e rafforzato da tutti gli stimoli della lontananza?... Perdona agli occhi miei, Aglaura!... S’essi peccarono talvolta, non ne ebbe colpa la volontà!...

— Oh vi perdono! Spiro — sclamò singhiozzando l’Aglaura. — Ma se mi fossi sentita veramente vostra sorella, avrei io diffidato di quelle occhiate; lasciatemi credere che la malizia non fosse nè mia nè vostra, o almeno divisa per metà!

Io chiesi allora a Spiro con bastevole ingenuità, perchè tre ore prima non ci avesse scoperto quel dolce segreto, e si fosse divertito invece a rappresentarci quella feroce scena di Oreste. Egli non sapeva come rispondere; pur finalmente si sforzò a farlo dicendo, che dopo saputi i nuovi amori di Emilio, e che la signora fuggita con lui da Milano a Roma non era l’Aglaura, dei mostruosi sospetti gli aveano martoriato il cuore.