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202 le confessioni d'un ottuagenario.


— Altro non volete sapere?

— Nient’altro: la mia curiosità per ora è tutta qui.

— Or bene: quei signori erano amicissimi d’Emilio: ecco perchè li conosco.

— Anche il signor Minato?

— Quello anzi più degli altri; ma gli è anche il più galantuomo, vale a dire il meno birbante di tutti questi ladroni.

— Parlate piano, Aglaura!... Non siete più quella di questa mane!... Come mai svillaneggiate ora quegli stessi che levaste a cielo poche ore fa?...

— Io?... Io ho levato a cielo la Repubblica, non chi l’ha fabbricata. Anche l’asino talora può andar carico di pietre preziose... Del resto ladri in camera possono essere eroi all’aperto; ma eroi macellaj, non...

— E ditemi un poco. Spiro vi scrive di venirvi a prendere, o che n’andiate a Venezia?

— Perchè questa domanda?... Siete stufo d’avermi?

— Felice notte, Aglaura: parleremo domani. Oggi siete maldisposta. —

Infatti mi ritrassi nella mia stanzuccia dietro della sua, e mi coricai pensando alla Pisana, alle strettezze che dovevano angustiarla, ai pericoli della sua solitudine. Sopratutto quel rappaciamento colla Rosa e le visite della Doretta mi davano ombra: Raimondo veniva poi; giacchè capiva che egli era il grosso caprone, che sarebbe passato pei buchi fatti dalle pecore. Aggiustai fin d’allora di mio capo un certo letterone da scriverle il giorno dopo, e dal pensiero della Pisana passai a quello dell’Aglaura, che se stringeva meno s’oscurava anche di più. Chi potea vedere un barlume di chiaro in quel turbine di testolina? — Io no per certo. — Da Padova a Milano ella m’avea menato sempre di sorpresa in sorpresa; pareva non già una fanciulla occupata a vivere, ma un romanziero francese inteso a comporre