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capitolo decimoprimo. 13

stra, ma scoti, sega e risega, non disperava di recidere anche quella, e di ridurre quella diletta anima al beato isolamento dell’estasi claustrale. La Clara per mezzo d’una servigiale del monastero riceveva qualche notizia di Lucilio; ma ciò succedeva di rado, e negli intervalli chiedeva conforto alle reminiscenze ed alla devozione.

Ma la devozione spostò a poco a poco le reminiscenze, massime quando il confessore e la madre Redenta la ebbero persuasa a non divagar troppo in immagini mondane, e ad abbondare nella preghiera, allora che se ne avea tanto bisogno per gli urgenti pericoli della Repubblica e della religione. Per quelle monache, quasi tutte patrizie, Repubblica di san Marco e religione cristiana formavano un solo impasto; e a udirle parlare delle cose di Francia e dei Francesi, sarebbe stato il gusto più matto del mondo. Nominar Parigi o l’inferno era per esse l’egual cosa; e le più vecchie tremavano di raccapriccio, pensando le orrende cose che avrebbero potuto commettere quei diavoli incarnati una volta entrati in Venezia. Le più giovani dicevano: non bisogna spaventarsi, Iddio ci ajuterà! — E taluna fors’anco, che avea fatto i voti per ubbidienza o per distrazione, sperava di abbisognare quandochessia di questo soccorso divino. Qui non è il caso di dire che sarebbe stato il soccorso di Pisa; ma ad ogni modo chi non ebbe una decisa vocazione, non è poi obbligata a cercare e ad adorare la necessità e fingere d’averla avuta. La Clara, più sincera e meno bigotta, si scandalizzava di queste mezze eresie. Quanto ai Francesi ella stava colle vecchie, massime dopo l’orrenda tragedia della nonna, che sebbene contata a lei con tutti i debiti riguardi, pure l’aveva fatta piangere lunghi giorni e lunghissime notti. Ella li credeva con tutta buona fede eretici, bestiali, indemoniati; e nelle litanie dei santi, dopo aver pregato il Signore per l’allontanamento di ogni male, lo supplicava mentalmente di li-