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12 le confessioni d'un ottuagenario.

resistibile. Direte voi, ch’egli avea lasciato tranquilla la Clara presso sua madre, che non s’era sbizzarrito nel darle la scalata al balcone, o nel cantarla la serenata dalla gondola, che l’avea lasciata entrare in convento e che so io. Ma l’amor suo non apparteneva ai comuni: egli non voleva rapire ma ottenere: sicuro della Clara, e ch’essa lo avrebbe aspettato un secolo senza piegare e senza disperarsi, egli agognava e maturava con ogni fervore d’opere e di sacrificii il momento, quando l’avrebbero pregato di prendersela, tenendosi onorati del suo parentado. L’amore e la religione politica s’erano confusi in un solo sentimento tanto vivace, tanto potente, tanto ostinato, quanto possono esserlo tutte le forze d’un’indole così robusta, strette ed attortigliate in un sol fascio. Quand’egli si abbatteva nel viso adunco e orgoglioso della contessa, o nella faccia nebbiosa, slavata, aristocratica del conte Rinaldo, o in quei risetti mobili, graziosi, sdolcinati di casa Frumier, egli sorrideva di sottecchi. Sentiva che era prossimo a diventare il padrone lui, e allora avrebbe potuto intimare a quei vanerelli i patti qualunque da lui stimati convenevoli. La loro pieghevole natura e la facilità degli spaventi lo assicuravano dal timore d’un’importuna opposizione. Ma la contessa dal canto suo non si stava colle mani alla cintola; essa conosceva Lucilio più forse ch’egli non credesse, e le mura d’un monastero le sembravano debole riparo contro la sua temerità. Perciò aveva raccomandato particolarmente la figliuola ad una certa madre Redenta Navagera, che era la più gran santa e astuta monaca del convento, perchè con altri argomenti le afforzasse l’anima contro le tentazioni del demonio. Infatti costei ci si mise di gran lena, e non dirò che a quel tempo fosse ita molto innanzi, ma avea fatto già uscir del capo alla Clara, se non Lucilio, certo tutte le altre cose del mondo. Non era poco; molti fili erano tagliati; restava il capo grosso, la gomena mae-