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ventar santi. Quello che v’aveva di più terribile in tuttociò si era, che la contessa, anzichè ricavar danari dalle possessioni, non riceveva altro che cedole di crediti e minaccie esecutive. Non sapeva più da qual parte voltarsi, e se non fossero stati quei pochi frutti della dote della Pisana, le sarebbe mancato addirittura il pane. Tuttavia la giocava sempre, e le scarse mesate di Rinaldo passavano il più delle volte nelle tasche senza fondo di qualche baro matricolato.

Le notizie di Fratta, la Pisana diceva averle avute dai suoi zii di Cisterna, che coi loro figliuoli s’erano accasati a Venezia, sperando di avviarli utilmente in qualche carriera, pel favore che la loro famiglia godeva presso i Tedeschi. Sì da un partito che dall’altro, era una gran ressa di mani intorno ai denari del povero pubblico. Chi volete che restasse in mezzo o lontano da ambidue, dove non c’era lusinga di beccar nulla al mondo? Confesso la verità che di cotali miracoli ne vidi pochissimi in mia vita; e nessuno quasi in uomini d’età matura. Il disprezzo degli onori, delle ricchezze, si appartiene alla gioventù. Sappia ella tenersi cara questa sua dote santissima, la quale sola rende possibili i grandi intendimenti, e facili le magnanime imprese.

L’altra lettera che mi capitava era del vecchio Apostulos. Avvisavami della fuga della figlia, e delle misure prese per rintracciarla in ogni luogo fuori che a Milano. In questa città un tale incarico era affidato a me. Ne chiedessi conto, la cercassi; e trovatala, o la rimandassi a Venezia, o la trattenessi meco secondo il miglior grado di lei. Certo egli non vorrebbe usare i diritti della paternità sopra una figlia ribelle e fuggitiva. Facesse ella di suo capo, egli non la malediceva, chè i pazzi non lo meritano, ma la dimenticava. Peraltro in un poscritto aggiungeva, che aveva disposto per le indagini più minute nelle altre città di terraferma, e che di colà i suoi corrispondenti ave-