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capitolo decimoquinto. 187

liana, e le imposero il primo passo al risorgimento. Napoleone, colla sua superbia, coi suoi errori, colla sua tirannia, fu fatale alla vecchia Repubblica di Venezia, ma utile all’Italia. Mi strappo ora dal cuore le piccole ire, i piccoli odii, i piccoli affetti. Bugiardo, ingiusto, tiranno, egli fu il benvenuto.

Se così infervorato era io, figuratevi poi l’Aglaura; la quale senza che io vel dica, avrete già conosciuto che aveva una testa voltata affatto a quegli entusiasmi di repubblica e di libertà! A cotali sue preoccupazioni io ascrissi per quel giorno la poca cura ch’ella si avea dato del suo Emilio; ma la sera le ne mossi parola, quando ci fummo allogati in due camerette d’un’umilissima locanda sul Corso di Porta Romana.

— Siete voi, — mi rispose ella, — a immaginarvi ch’io non me ne prenda cura! Invece stamattina non ho fatto altro che cercarlo cogli occhi, e se non mi è riescito di scoprirlo non è mia colpa... Ma non avete voi qui a Milano molti amici veneziani de’ quali vi proponete andare in traccia questa sera?... Or bene, uscite dunque e menateli; per mezzo loro saprò qualche cosa. Io mi aggiusterò intanto alla meglio queste vesti da donna che mi avete comperate. Grazie, sapete, amico mio! Vi giuro che ve ne sarò grata eternamente. Ma sopratutto se incontraste Spiro fate lo gnorri sul conto mio. Non mi maraviglierei punto ch’egli ci avesse preceduti a Milano. —

Io le promisi di fare com’ella domandava, ma la pregai dal canto mio di mantenere la sua promessa e di dar contezza di sè ai genitori. Ella me lo promise, ed io n’andai per primo passo alla posta a vedere se ci erano lettere, per me e per lei. Ve n’aveano quattro, tre delle quali per me, e due di queste della Pisana. Questa mi dava notizia nell’una di quanto era accaduto dopo la mia fuga; l’altra non recava che lamenti, sospiri, lagrime per la mia as-