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178 le confessioni d'un ottuagenario.

geva noderoso e flessibile, si spenzolò dalla rupe: indi abbandonò il ramo, e la vidi scendere strisciando come poco prima avea fatto io. Un minuto dopo ella poggiava le piante sulla sabbia molle e umidetta, dove veniva a susurreggiare morendo l’onda del lago. Potete credere che non volli mostrarmi da meno d’una donna; arrischiai anch’io il gran salto, e con un secondo screzio di botte e di scorticature la raggiunsi che non mi parve vero di averla pagata cara. Allora volsi al cielo un sospiro così pieno di ringraziamenti, che l’aria dovette accorgersene al peso; la mia compagna invece camminava lesta e saltellante come uscisse dal ballo o dal teatro. E dire che un quarto d’ora prima s’era precipitata volontariamente da un’altezza di due campanili! Donne, donne, donne!.... quali sono i nomi dei centomila elementi, sempre nuovi, sempre varii, sempre discordi che vi compongono? — Io non aveva mai veduto l’Aglaura così lieta così briosa come allora, dopo avermi giuocato quel mal tiro da disperata. Soltanto quand’io voleva ridurla a darmene ragione, ella stornava il discorso con un poco di broncio; ma lo ravvivava indi a un istante con maggior brio e con doppia petulanza.

— Volete proprio saperlo?... Son pazza e finiamola! — Così mi chiuse la bocca da ultimo, e non se ne parlò più infatto. Tanto fu allegra, spensierata, ciarliera nel resto della passeggiata, che comunicò anche a me qualche parte del suo buon umore, e se i miei ginocchi ricordavano molto, la mente per quella mezz’ora si dimenticò di tutto.

— Quello che mi dispiace si è che mangeremo la trota fredda, e le sardelle rinvenute! — disse scherzando l’Aglaura, quando eravamo per toccare il lastrico del porto.

Dico il vero che per quanto mi fossi riavuto, non aveva ancora le idee così chiare da ripescarvi per entro le sardelle e la trota. Però risi a fior di labbra di questo rammarico della Aglaura, e le promisi una frittata se il pesce non conferiva.