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168 le confessioni d'un ottuagenario.

rità della donzella mi sparagnò la ridicolaggine donchisciottesca d’una battaglia contro un mulino.

— Non condannatemi! — riprese ella dopo aver parlato come esposi in addietro, e imponendomi silenzio d’un gesto: — prima dovete ascoltarmi!... Emilio è il mio promesso sposo; egli non pensava certamente a mescolarsi in brighe di Stato, in macchinazioni e in congiure quando lo conobbi; fui io a spingerlo per quella via, e a procurargli la proscrizione, che nudo di tutto, senza parenti, senza amici e cagionevole di salute, lo manda a soffrire, a morir forse in un paese lontano e straniero!... Giudicatemi ora: non era dover mio quello di tutto abbandonare, di sacrificare tutto per menomare i cattivi effetti delle mie esortazioni?... Lo vedete bene: Spiro aveva torto nel volermi trattenere. Non è l’amore soltanto che mi fa fuggire la mia casa; è la pietà, la religione, il dovere!... Perisca tutto, ma che non mi resti nel cuore un si atroce rimorso!... —

Io rimasi, come si dice, di princisbecche; ma feci dignitosamente l’indiano, e benchè la vergogna del granchio ch’era stato per prendere mi salisse alle guancie, pure trovai qualche parola che non dicesse nulla, e velasse momentaneamente il mio imbroglio. Soprattutto m’imbarazzava quel signor Emilio, nudo di tutto, malato, interessante, che l’Aglaura diceva essere il suo promesso sposo, e del quale io non aveva mai sentito mover parola dai suoi. Probabilmente ella supponeva che Spiro me ne avesse parlato; infatti ella tirò innanzi a raccontare come se ne sapessi quanto lei.

— La settimana passata, — diss’ella — era assalita continuamente dall’idea di ammazzarmi: ma quando prima vidi voi, e sentii che avevate intenzione d’andare a Milano, un altro pensiero meno funesto per me e consolante per tutti mi balenò in capo. Perchè non vi avrei io seguito?