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capitolo decimoprimo. 9

namente illuse, che lo divideva da Francia; ma rifiutatigli i proposti negoziati, buttò via ogni timore, e andò fino a Lesben ad imporre all’Austria i preliminari di pace. La Serenissima Signoria aveva veduto passarsi dinanzi quel turbine di guerra, come l’agonizzante che travede nell’annebbiata fantasia lo spettro della morte. Altro non avea fatto che avvilirsi, pazientare, pregare e supplicare, dinanzi al nemico prepotente che la schiacciava oncia ad oncia, disonorandola cogli inganni e col vitupero. Francesco Battaja, Provveditore straordinario in terraferma, fu l’interprete più degno di cotali vilissimi sensi di servitù; e infamò peggiormente la sua codarda obbedienza coll’inobbedienza e col tradimento più codardi ancora. Alle umilianti proteste contro l’invasione delle città, l’occupazione dei castelli e delle fortezze, il sollevamento delle popolazioni, lo spoglio delle pubbliche casse e la devastazione universale, Bonaparte rispondeva con beffarde proposte d’alleanza, con ironici lamenti, e con domande di tributi. Il procuratore Francesco Pesaro e Giambattista Corner, Savio di terraferma, si erano abboccati con lui a Gorizia per protestare contro la parte presa da officiali francesi nelle rivoluzioni di Brescia e di Bergamo, nonchè contro le piraterie degli armatori francesi negli intimi recessi del golfo. Ne ebbero tale risposta, che sulla chiusa del loro rapporto i due inviati non esitarono ad affermare, che soltanto dalla divina assistenza bisognava sperare alla loro negoziazione quell’esito, che dalle durissime circostanze non era permesso in alcun modo di attendere. Francesco Pesaro ebbe animo retto e chiara antiveggenza; ma gli mancavano la costanza e l’entusiasmo, come mostrò dappoi; per questo nè fu capace di salvar la Repubblica, nè d’imprimere alla sua caduta un suggello di grandezza.

I turbolenti intanto rumoreggiavano, i paurosi davano ansa al partito, e fu veduto nel Maggior Consiglio lo strano