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8 | le confessioni d’un ottuagenario. |
non soffocava neppure colle pedanterie quel modesto brio concessomi da natura; più di tutto poi credo che la voce di dovizioso mi accreditasse come ottimo partito presso tutte le zitelle, e presso le madri che ne avevano. Carlino di qua, Carlino di là, tutti mi chiamavano, tutti mi volevano. Anche qualche sposina non faceva la disdegnosa; e insomma io non ebbi che a scegliere fra molte maniere di felicità. Per allora non ne scelsi alcuna, e la novità mi occupò talmente, che fin la Pisana, una volta fuori degli occhi, non mi dava più da pensare. Ella forse se ne stizziva: ma per essere in una fase di superbia non si degnava di mostrarlo, e soltanto si accontentava di sfogar quella stizza contro il povero Giulio. Mi ricorda che a quel tempo lo vidi parecchie volte, e sarei anche tornato ad averne compassione, se le mie occupazioni me ne porgevano il tempo nulla nulla. Il povero giovine stava sempre fra la vita e la morte, e dàlli una volta e dàlli due, s’era ridotto a tale che ad ogni mosca che ronzasse intorno alla Pisana sdilinquiva di paura.
Intanto le cose d’Italia si stravolgevano sempre più. Già da più di sei mesi Modena, Bologna e Ferrara aveano dato l’esempio di una servile imitazione di Francia dietro eccitamento dei Francesi: aveano improvvisato come una bolla di sapone la Repubblica Cispadana. Carlo Emanuele succedeva a Vittorio Amedeo nel regno di Sardegna già occupato e ridotto in provincia militare francese. Tutta Italia s’insudiciava i ginocchi dietro le orme trionfali di Bonaparte, ed egli ingannava questi, sbeffeggiava quelli con alleanze, con lusinghe, con mezzi termini. Gli Stati veneziani di terraferma, da lui astutamente stuzzicati, si levavano a romore contro lo stendardo del leone: sorgevano per tutto alberi della libertà; egli solo sapeva con quanta radice. E fu un momento ch’egli dubitò della propria fortuna pel gran nugolo di nemici che aveva dinanzi a combattere, per la grande distanza di provincie non tanto fedeli nè pie-