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po’ anche incurvata, quasi per lunga abitudine d’ubbidienza e d’orazione. Sulle sue labbra all’indulgente sorriso d’una volta era succeduta la fredda rigidità monastica: oramai si vedeva che l’isolamento dalle cose terrene, tanto sospirato dalla madre Redenta, lo aveva anch’essa raggiunto: non solo disprezzava e dimenticava, ma non comprendeva più il mondo. Infatti la non si maravigliò punto della mia dimestichezza colla Pisana, come io aveva temuto: diede a me ed a lei saggi consigli in buon dato; non nominò mai il passato se non per raccapricciarne, ed una sola volta vidi rammollirsi la piega ritta e sottile delle sue labbra, quand’io le nominai la sua ottima nonna. Quanti pensieri in quel mezzo sorriso!... Ma se ne pentì tosto, e riprese la solita freddezza che era il vestimento forzato dell’anima sua, come la nera tonaca dovea vestire invariabilmente le membra. Io credetti che in quel momento anche Lucilio le balenasse al pensiero; ma che fuggisse spaventata da quella memoria: — Dov’era infatti allora Lucilio? che faceva egli? — Questa terribile incertezza doveva entrarle talora nell’anima col succhiello invisibile ma profondo del rimorso. Ella durò infatti qualche fatica a tornare marmorea e severa come prima; le sue pupille non erano più tanto immobili, né la voce così tranquilla e monotona.

— Ohimè! — diss’ella ad un tratto — io promisi alla buon’anima di mia nonna di suffragarla con cento messe, e non fui ancora in grado di compiere il voto. Ecco l’unica spina che ho adesso nel cuore!... —

La Pisana si affrettò a risponderle colla solita bontà spensierata, che quello spino poteva cavarselo dal cuore a sua posta e che l’avrebbe ajutata a ciò, e che avrebbe fatto celebrar quelle messe ella stessa secondo le intenzioni di lei.

— Oh grazie! grazie, sorella mia in Cristo! — sclamò la reverenda. — Portami la scheda del sacerdote che le avrà