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tiere dopo quattro mesi di campagna; con occhi e capelli grigi, e un fazzoletto rosso attorcigliato intorno al capo alla foggia dei serpenti di Medusa. Era un pochettino losca, e discretamente barbuta, con una vociaccia sonata pel naso che non parlava né veneziano, né schiavone, ma un certo gergo imbastardito a mezza strada. Costei aveva ricevuto da madre natura tutte le più brutte impronte della fedeltà: perché io ho sempre osservato che fedeltà ed avvenenza litigano sovente fra loro, e s’acconciano assai di rado a una vita tranquilla e comune. Di più era certo che chi volesse entrare in casa e smanacciasse a quello spettacolo, sarebbe ito piuttosto a casa del diavolo che avanzar un passo oltre la soglia; tanto era graziosa e piacevole. S’intende che io le diedi precetto assoluto di dir sempre ed a tutti che i padroni eran fuori di Venezia; e di restar nascosto ci aveva molti buoni perché. Sarebbe bastato quello della felicità; che già appena gli altri uomini se n’accorgono, non possono fare a meno di saltarvi addosso per guastarvela. Or dunque appostato questo mio Cerbero alla cucina, e provveduto che ebbi alla sicurezza ed al vitto, tornai alla Pisana, e mi dimenticai di tutto il resto.

Forse quello non era il miglior punto; forse, Dio mel perdoni, altri doveri allora m’incombevano, e non era tempo da svagarsi come Rinaldo nel giardino d’Armida; ma badate che io non dissi di avermi fatto violenza per dimenticare il resto; me ne dimenticai anzi così spontaneamente, che quando ulteriori circostanze mi richiamarono alla vita pubblica, mi parve tutto un mondo nuovo. Se furono mai scuse ai delirii dell’amore, e all’ubbriachezza dei piaceri, io certo le aveva tutte. Peraltro non voglio nascondere le mie colpe, e me ne confesserò sempre peccatore. Quel mese smemorato di beatitudine e di voluttà, vissuto durante l’avvilimento della mia patria, e rubato alla decorosa miseria dell’esiglio, mi lasciò nell’anima un