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capitolo decimoquarto. 137

piccio più grosso, la difficoltà capitale. Come doveva io coonestare agli occhi del mondo, e alla lunga alla lunga anche alla mia coscienza, quella vita intrinseca e comune con una bella giovane che amava, e dalla quale aveva tutte le ragioni per credermi amato? — Doveva io dire che aspettavamo così meno nojosamente la morte del marito? — Peggiore la rappezzatura che il buco, si dice da noi. — E tutti questi impicci mi saltavano agli occhi, mi affaticavano inutilmente la mente, intantochè la Pisana si consolava cantando e ballando della racquistata libertà, e non si dava un fastidio al mondo di quello che potrebbe mormorarne la gente. Ella si fece condurre per tutta la casa dalla cantina alla soffitta, trovò di suo gusto i tappeti, i divani e perfino le pipe, m’assicurò che noi staremmo là dentro come due principi, e non si prendeva cura nè delle apparenze nè della modestia. Sapete bene che quando una donna non si sgomenta di certe coserelle, sgomentarsene non tocca a noi; più che ridicolaggine sarebbe un’offesa alla sua delicatezza, e non vanno lodati quei confessori che suggeriscono i peccati alle penitenti. Tutto ad un tratto, mentr’io ammirava l’allegra e sfrontata spensieratezza della Pisana, non sapendo se dovessi ascriverla a sincero amore per me, a scioltezza di costumi, o a pura levità di cervello, ella si fermò colle braccia in croce nel mezzo della sala: levò gli occhi un pò turbata nei miei dicendo:

— E tuo padre? —

Allora solo mi saltò in mente ch’ella non sapea nulla della sua partenza; e mi maravigliai a tre doppi della sua franchezza nel venirsi a stabilire presso di me, mentrechè ci vedeva nello stesso tempo meno trascurato il pudor femminile. Quando c’è un padre di mezzo due giovani son più sicuri dalle tentazioni, e dalle chiacchiere dei vicini. Insieme a questo pensiero me ne balenò alla mente un altro, ch’ella si spaventasse di trovarmi solo e si ritraesse