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le confessioni d'un ottuagenario. |
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e più mi confermai in questa opinione, quand’egli tirò innanzi beffandosi dell’illustrissimo Partistagno, che voleva tener indietro il secolo collo spadone di suo nonno. Io mi stupii di trovar mio padre istruito ai pari di me in cotali faccende, e che egli ne chiedesse contezza agli altri dove tanta ne aveva lui. Peraltro le cose vai meglio saperle da due bocche che da una; ed egli si regolava, giusta il sapiente dettato di questo proverbio. Mi parlò poi così, in via di discorso, della Pisana e dei gran corteggiatori che aveva a Venezia, e del suo torto marcio di non appigliarsi al più ricco per ristorare la dignità della casa e la fortuna della mamma. — Ahi, ahi! — pensai fra me; — ecco l’aristocrazia che rigermoglia! — Giulio Del Ponte sopratutto gli pareva, per usar la sua frase, un saltamartino. La Pisana adoperava male a non torselo d’infra i piedi, che l’era un cantastorie pieno di tossi, di miserie e di melanconia. Le belle ragazze devono badare ai bei giovani, e quei mezzi omiciattoli in Levante si mandavano a vender bagiggi per le contrade. Io mi scaldava tutto a questi aforismi del signor padre; e quasi sarei stato lì lì per fargli una confessione generale. Non mi tratteneva più la compassione per Giulio, ma una certa vergogna di mostrarmi ragazzo e innamorato ad un uomo così esperto e ragionatore. Egli continuava a odiarmi, e intanto narrava le dilapidazioni della contessa, e la ruinosa indifferenza del conte Rinaldo che si perdeva a far lunarii nelle bibilioteche, mentre la bassetta e il faraone strappavano di mano a sua madre le ultime razzolature del loro scrigno. Mi confessò con maligna compiacenza che la contessa avea cercato di sentire il peso delle sue doble, ma che non avea potuto vederne neppur il colore; e in questo batteva la mano al taschino sulla solita sonagliera di monete. Tale guardinga taccagneria non mi andò a’ versi affatto, e son quasi certo che egli se ne avvide. Ma non usò per questo la cortesia di cambiar