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124 le confessioni d'un ottuagenario.

— e lo dicevano avvelenato per disperazione patriottica.

— Certo, aveva animo da disperarsi così altamente, — ripresi io senza assentire direttamente.

— Ma credete voi che siano atti di vero coraggio questi? — mi richiese egli.

— Non so; — soggiunsi io. — Quelli che non si ammazzano dicono che non è coraggio; ma torna loro conto il dirlo; e d’altra parte non hanno mai provato. Io per me credo, che tanto a vivere fortemente, come a morire per propria volontà, faccia d’uopo una bella armatura di coraggio.

— Sarà anche coraggio, — riprese Spiro — ma è un coraggio cieco e male avveduto. Per me il vero coraggio è quello che ragiona sull’utilità dei proprii sacrifizi. Per esempio non chiamo coraggio il cader d’una pietra dall’alto della montagna che poi si spacca in frantumi nel fondo della valle. È ubbidienza alle leggi fisiche, è necessità.

— Sicchè voi credete che chi si toglie di vita pieghi servilmente sotto la necessità fisica che lo abbatte?

— Non so s’io creda questo; ma ritengo peraltro che non sia veramente forte e coraggioso quell’uomo che si uccide indarno oggi, mentre potrebbe sacrificarsi utilmente domani. Quando tutto il genere umano sia libero e felice, allora sarà incontrastabile eroismo il togliersi di vita. Potreste citarmi l’unico caso di Sardanapalo, ed anco vi risponderei che Camillo fu più forte, più animoso di Sardanapalo. —

La vecchia aveva chiuso il leggendario, e la bruna Aglaura ascoltava le parole di suo fratello guardandolo di sbieco e colla mano posata sul ricamo. Io adocchiava di sottecchi la giovinetta perchè mi stuzzicava la curiosità quest’attitudine risoluta e sdegnosa: ma la mamma s’in-