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rola misi in pace tutti i pensieri, tutte le paure che mi venivano spunzecchiando pel capo. La parte maggiore, la più civile ed assennata del patriziato veneziano, avrebbe finto di dormire: gli altri!.... Dio me ne liberi!... Non volli pensare a distribuir le parti. — Quello che è certo si è che la settimana seguente, allo stabilirsi del governo imperiale in Venezia, Francesco Pesaro, l’incrollabile cittadino, l’innamorato degli Svizzeri, l’Attilio Regolo della scaduta Repubblica, riceveva i giuramenti. Lo noto qui, perché almeno i nomi non facciano velame alle cose. Seguitai intanto a passeggiare al chiaro di luna. Pattuglie d’arsenalotti, di guardie municipali e di soldati francesi s’incontravano gomito a gomito nelle calli; si schivavano come appestati e andavano pei fatti loro. Il fatto dei Francesi era d’imbarcare quanto più potevano delle dovizie Veneziane, sul naviglio che dovea veleggiare verso Tolone. I capi per consolarci dicevano: « State quieti! È una mossa strategica! Torneremo presto! » — Intanto per tutto quello che non poteva succedere ci conciavano di sorte, che a pochi dovea rimanere il desiderio del loro ritorno. Il popolo tradito, ingiuriato, spogliato a man salva, s’intanava nelle case a piangere, nei templi a pregare, e dove prima pregavano Dio di tener lontano il diavolo, lo supplicavano allora di mandar al diavolo i Francesi. Gli animi volgari si piegano arrendevoli alla tolleranza del minor male; né bisogna aspettarsi di più da chi sente prima di pensare. Dei beni perduti si sperava almeno di racquistarne alcuno: la lbertà è preziosa, ma pel popolo bracciante anche la sicurezza del lavoro, anche la pace e l’abbondanza non sono cose da buttarsi via. È un difetto grave negli uomini di pretendere le uguali opinioni da un grado diverso di coltura; come è errore massiccio e ruinoso nei politici appoggiare sopra questa manchevole pretensione le loro trame, i loro ordinamenti.