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capitolo decimoterzo. 117

stizza, le sgrugnate, le lagrime. Sopratutto al fianco di quel tal Fellah mia moglie dimenticava assai facilmente il marito burbero e lontano.

Allora intervenne a me quello che spesso succede nei temperamenti nè troppo generosi nè abbastanza sinceri. Divenni geloso; ma forse in fondo in fondo mi accorgeva che la gelosia era un appiglio, per dar tanta noja a mia moglie ch’ella fosse costretta ad abbandonarmi. Ti giuro ch’io aspettava con impazienza da parte sua una qualche scena di disperazione, e una domanda assoluta di tornare a Venezia. Ma era ben lontano dal temere una fuga. Ella era paurosa, delicata, e piuttosto portata a parlare che a fare. La sua improvvisa partenza mi sorprese e mi accorò non poco; ma io era allora in Persia, non tornai che un mese dopo quando non m’era possibile neppur tentare di raggiungerla. Fitto più che mai il capo nella mia impresa d’arricchire, tutti i pensieri che me ne stornavano li riguardava come tanti nemici; tu saprai già, oppure ti sarà facile comprendere quello stato dell’animo nostro, nel quale si propende a creder vero ed ottimo ciò che piace; e a forza di abitudine lo si crede infatti. Per attutare i rimorsi che m’inquietavano, io mi persuasi che la mia gelosia non era senza un buon motivo. M’accostumai sì bene a questa comoda opinione, che non mi diedi più pensiero nè di essa nè di ciò che fosse nato da lei.

Seppi che bene o male l’era giunta a Venezia; e contento di ciò, e d’esser finalmente libero da un legame che mi importunava, mi diedi a tutt’uomo e con maggior pertinacia ai miei negozii. Solo tornando in patria coi sognati milioni già coniati in bei zecchini e in grossi dobloni mediante la mia costanza, io ebbi il tempo di pescare per ozio nelle carte lasciatemi da tua madre. Una navigazione di quarantadue giorni mi diede comodità di meditarvi sopra a lungo. Perciò sbarcato a Venezia ti rividi con di-