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112 le confessioni d’un ottuagenario.

città del Levante e dell’Asia Minore. Lì cominciava la storia. La felicità di mia madre avea durato fino a metà del tragitto. Le burrasche e il mal di mare pel resto del viaggio, la miseria e gli alterchi nei primi loro pellegrinaggi, in seguito le malattie, gli strapazzi e perfino la fame, le aveano smorzato d’assai quel primo incendio d’amore. Tuttavia non si stancava dal seguir suo marito, dal sopportare pazientemente le sue stranezze, la sua indifferenza, e sopratutto le sue gelosie che parevano assai strane. Egli restava assente delle settimane intere dai luoghi ove collocava la moglie, e questa rimaneva affidata a qualche povera famiglia di turchi, ove le conveniva fare da fantesca e da guattera per guadagnarsi il vitto. Mio padre girava intanto per gli harem e pei chioschi dei ricchi mussulmani commerciando di spilloni, di specchietti e d’altri ninnoli ch’ei sapeva vendere a prezzi incredibili; così almeno affermava mia madre ridotta allo stremo di tutto. Un bel giorno sembra che le gelosie ricominciassero più violente che mai a proposito della sua gravidanza. L’accusato era un brioso fellah delle vicinanze; mia madre scriveva roba di fuoco intorno a questa ingiustizia del marito; sembrva ch'ella sospettasse in lui un sistema premeditato per annoiarla di quella vita, per finirla affatto o per isforzarla a fuggire. Allora la sua superbia cominciò a raddrizzarsi: da quei lamenti, da quelle disperazioni tornava a trapelare la nobildonna offesa nell’onore; l’animo suo s’esasperava sempre più in quelle noterelle buttate giù sulla carta, giorno per giorno, con mano rabbiosa; finalmente si giungeva ad una pagina vuota dove null’altro era scritto senonchè queste parole: «Ho deciso!»

Così terminavano quelle memorie; ma le completava una lettera scritta da essa medesima a mio padre, dappoichè la ebbe deciso. Non posso fare a meno di riportare quelle poche righe, le quali serviranno a profilar meglio