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4 le confessioni d'un ottuagenario.

che vuol dire che non si fa più caso di nulla, che crede a poco, che spera meno ancora, e che sacrificatosi per lungo tempo alla speranza d’una futura comodità, trova tutto agiato, tutto comodo perchè tutto mena all’ugual fine. Così i mezzi sono alle volte scuola, ed esercizio a disprezzare il fine. In tal modo almeno io giudicai mio padre; e confesso sinceramente che mi misi intorno a lui fin da principio con maggior curiosità che amore. Mi pareva che tali dovessero essere stati que’ vecchi mercatanti veneziani della Tana o di Smirne, che a furia di furberia, di chiacchiere e d’attività, facevano perdonare o dimenticare dai Tartari la differenza di fede. Turchi a Costantinopoli, Cristiani a S. Marco, e mercanti dovunque, aveano essi fatto di Venezia la mediatrice dei due mondi d’allora. Perfino una certa barbetta rada, grigia, e stizzosa accostava la fisionomia di mio padre alla maschera di Pantalone; ma egli veniva tardi sulla scena del mondo. Mi pareva uno di quei personaggi comici ancor travestiti da Persiani o da Mamalucchi, che dopo calato il sipario escono ad annunziar la commedia per l’indomani. Tuttociò senza alcun pregiudizio della paterna autorità.

Intrattenutici un pochino, con molte interiezioni di cordialità e di maraviglia della signora contessa, e qualche sospiro represso della Pisana, il signor padre m’invitò ad uscire con lui: e mi menò infatti a San Zaccaria dove aveva preso alloggio in una bella casa, e addobbatala quasi alla turchesca, con tappeti, divani e pipe a bizzeffe. Vi si desideravano le tavole, e qualche forziere da riporre le robe, ma vi era per compenso un gran numero di armadii donde si cavava, come per incanto, ogni cosa che si potesse desiderare. Una mulatta scurissima di oltre quarant’anni ammanniva il caffè da mane a sera, e tra lei e il padrone se l’intendevano a cenni e a monosillabi, che era un trastullo a vederli; non credo che parlas-