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capitolo decimoterzo. 93

— Lo voglio, Carlino, lo voglio; se mi sei amico devi contentarmi d’una grazia. Siedi vicino a me, e finiamo conversando come Socrate. —

Io conobbi che non c’era nulla da sperare da una si tremenda tranquillità: sedetti vicino a lui, deplorando quella triste aberrazione che perdeva così miseramente uno degli animi più forti ch’io m’avessi mai conosciuto. Quell’accorgimento di mandare pel prete accusava assoluto disordine di cervello in un suicida; perchè egli non dovea ignorare che l’azione da lui commessa si riguardava dalla religione come un grave e mortale peccato. Sembrò ch’egli indovinasse tali pensieri, perchè si accinse a ribatterli senzachè io mi prendessi la briga di esprimerli.

— N’è vero, Carlino, che ti sorprende questa mia smania di aver un confessore? Cosa vuoi?... Per una fortunata combinazione mi dimenticai da molti mesi che Dio proibisce il suicidio; or ora me ne sovvenne, ed è proprio vero che la vicinanza della morte aiuta mirabilmente la memoria. Ma è troppo tardi per fortuna... È troppo tardi: il Signore mi punirà di questa lunga distrazione, ma spero che non vorrà essere troppo severo verso di me, e che me la caverò con una passata di Purgatorio. Ho sofferto tanto Carlino, ho sofferto tanto in questa vita!...

— Oh maledizione, maledizione sul capo di coloro che ti spinsero ad un passo così sciagurato!... Leopardo, io ti vendicherò: ti giuro che ti vendicherò!

— Zitto, zitto, amico mio; non destare mia moglie che dorme. Io ti esorto intanto a perdonare come perdono io. Ti nomino anzi legatario perpetuo delle mie perdonanze, acciocchè nessuno abbia male dalla mia morte; e ti raccomando di non far sapere ch’io me l’ho procurata. Sarebbe grave scandalo, e altri potrebbero averne dispiacere o rimorso. Dirai che fu un’aneurisma, un colpo fulminante, che so io?.... già me l’intenderò meglio col prete; e