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2 | le confessioni d'un ottuagenario. |
ad aspettare, osservai nella camera quello che non parrebbe possibile, un grandissimo disordine nella stessa nudità: polvere e ragnateli componevano gli addobbi; qualche mobile, qualche specchio infisso nel muro; poche seggiole sparute e tisicuzze qua e là; insomma la vera miseria abitante in un palazzo. Ma quello che distoglieva la mente da queste melanconie era l’aspetto della Pisana. Più bella, più fresca, più gioconda io non l’aveva veduta mai; e tale ella sapeva di essere, benchè con mille vezzi imparati novellamente a Venezia cercasse di offuscare lo splendore di quei pregi. Ma fosse dono di natura, o cecità mia, perfino gli artifizii prendevano nelle sue fattezze un incanto di leggiadria. Peraltro la ritrovai ancor più taciturna e meno espansiva del solito; la mi guardava a tratti coll’anima negli occhi, indi chinava gli sguardi arrossendo, e le mie parole sembravano dilettarle voluttuosamente l’orecchio, senzachè colla mente arrivasse a comprenderle. A tutto ciò io badava mentre la contessa zia mi annegava in un subisso di chiacchiere, ed io non ne capiva un iota; soltanto mi ferì spesse volte il nome di mio padre, e mi parve accorgermi ch’ella pure fosse molto lieta del suo inaspettato e miracoloso ritorno.
— O non torna mai quella sciocca di Rosa! — borbottava la signora. — Io non ho voluto che ci andassi tu, perchè voglio proprio ridonartelo io il tuo papà, ed esser presente alla gioja del vostro riconoscimento. Oh che buon papà che hai, il mio Carlino!... —
Mi parve che a quelle parole la Pisana arrossasse più del solito, e fosse turbata dagli sguardi ch’io teneva fermi continuamente in lei. Finalmente tornò la Rosa a dire, che il mio signor padre finito un affare in piazza sarebbe stato da noi, e allora io voleva uscire in traccia di lui per anticiparmi la gioja di quel soave momento, ma la contessa mi sforzò tanto che dovetti rimanere. Un’ora dopo squillò