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472 le confessioni d’un ottuagenario.

pitano, e colla folla io e il mio cavallo fummo trascinati dinanzi alla podesteria. Quattro Schiavoni che sedevano alla porta si precipitarono nell’atrio chiudendo e sbarrando le imposte; indi dopo molte chiamate e molte consultazioni, il signor vice–capitano si decise a presentarsi sulla Loggia. La turba non aveva schioppi nè pistole, e il degno magistrato ebbe cuore di fidarsi:

— Cos’è questa novità, figliuoli miei?... — cominciò con voce tremolante. — Oggi è giorno di lavoro, ognuno di voi ha famiglia, come l’ho anch’io; si dovrebbe attendere ciascuno ai propri doveri, e invece... —

Un evviva alla libertà di quei pazzi indemoniati, soffocò a questo punto la voce dell’arringatore.

— La libertà ve la siete presa, mi pare; — continuò con un piglio di vera umiltà. — Godetevela, figliuoli miei; in queste cose io non ci posso entrare...

— Via gli Schiavoni!... Alla corda gli Schiavoni! — sorsero urlando parecchi.

— I Francesi! viva i Francesi! vogliamo la libertà! — risposero altri.

Questi signori Francesi mi vennero allora in mente per la prima volta in quel subbuglio, e misero qualche chiarezza, nelle mie idee. In pari tempo mi ricordai di Fratta e del perchè fossi venuto a Portogruaro; ma quel signor vice-capitano non mi pareva in così buone acque da poter pensare a soccorrere gli altri oltrecchè se stesso. Egli mostrava una grandissima voglia di ritirarsi dalla loggia, e ci volevano le continue gridate della folla per fare ch’ei rimanesse.

— Ma signori miei; — balbettava egli — non so qual utile io rechi a me ed a voi collo starmene qui sulla pergola in esposizione!... Io non sono che un ufficiale, uno strumento cieco dell’eccellentissimo signor luogotenente; dipendo affatto da lui... —