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448 | le confessioni d’un ottuagenario. |
fessorone d’Università. La giustizia vuol essere largita, ma non imposta; e convien mantenerle la sua fama, il suo decoro di giustizia colla persuasione, non darle colore di arbitrio coi rabbuffi e coll’arroganza. Finchè non si muti il galateo dei tribunali foresi, i codici alla gente di campagna parranno non differenti per nulla dalle antiche sibille. Sentenziavano perchè di sì, e chi aveva ragione non ci capiva meglio di quello cui si dava torto. Avvezzo dalla culla a vivere fra gente rozza e ignorante, io non durai fatica a vestirmi di questa tolleranza; anzi la mi venne di suo piede, perchè non si potea farne senza. E il mio esempio fu efficace anche sugli uomini di Comune incaricati della giustizia più minuta; sicchè non si udirono più tanti lagni per la tal trascuranza a favore di questo, o per la tal rappresaglia a carico di quello. L’Andreini, il vecchio, era morto poco prima del cancelliere; e suo figlio che gli era succeduto non fu restio a secondare il mio zelo pel buono andamento delle cose giurisdizionali. Il cappellano era al colmo della consolazione; non lo inquietavano più per la sua amicizia collo Spaccafumo; e purchè costui, che cominciava a darsi all’ubbriachezza, non turbasse la pace festiva con qualche baruffa, era in facoltà di far visita cui più gli piacesse. Il bando era scaduto, la sua vita, è vero, non somigliava a quella di tutti; ma non si potea parlar male, e ciò bastava perchè io non lo angariassi senza costrutto.
Qualche inverno prima, per un mal di petto ribelle gli era mancata la Martinella, che solea provvederlo di sale, di polenta e delle derrate più necessarie. Allora dunque egli usciva più spesso dalle lagune per provvedersele da sè; ma del resto non se ne sapea nulla, e viveva come un’ostrica in mezzo alle ostriche. Il cappellano mi disse ch’egli si ricordava di quella sera quando mi avea recato in groppa fin vicino al castello, e che se ne lodava sempre