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440 | le confessioni d’un ottuagenario. |
— Ti ho insultato perchè infatti tutto il tuo contegno di questa sera mi sembra ancora molto bizzarro; ma ora voglio crederti; ti ringrazio delle buone intenzioni. Sei contento?
— Sarei più contento se volessi aiutarti de’ miei consigli per vivere meno infelice!
— Mi aiuterò invece de’ miei per morire. Son cristiano, credo al paradiso, e tutto sarà finito. Dubito peraltro di poter morire perdonando!.. Oh sì, ne dubito assai; ma la malattia sarà lunga, mi fiaccherà, e sarò convertito se non da altro dalla debolezza. Dio voglia passarmela buona!...
— No, per carità, Giulio, non finire di avvelenarti con questi tetri pensieri!
— Vedi anzi che ora sono tranquillo, che sto meglio, che mi par di essere guarito. Hai fatto benissimo a farmi risovvenire di Dio. Questa notte scommetto che dormirò, e sì che da due mesi non godo una tanta ventura. Ho piacere di doverla a te: guarda se sono ingiusto ora?... Mi perdoni non è vero, Carlo? —
Io gli buttai le braccia al collo; quelle sue ultime parole, benchè intinte ancora di qualche amarezza, mi toccarono il cuore più che le smanie di prima. Sentii il suo cuore battere sul mio precipitosamente, come quello d’un viaggiatore che ha fretta d’arrivare; baciai quel suo volto scarno, e madido tutto d’un sudore gelato; indi lo vidi entrare in casa, lo udii tossire a più riprese nel montare le scale, e mi tolsi di là col malcontento di chi ha fatto una buona azione, ma pur troppo inutile.
Il giorno seguente me n’andai a Fratta prima dell’alba, giacchè tutta la notte non avea fatto altro che volgere in capo i disegni più strani e le speranze più inverosimili. Stetti molte ore in cancelleria a ravviare le faccende d’uffizio coll’aiuto di quel vecchio sornione di Fulgenzio;