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capitolo nono. | 435 |
sole della vita vi rianimi queste fattezze smorte ed appassite! Sarà un miracolo, sarà un trionfo. Chi ha sul volto l’altera e grossolana bellezza della carne, una volta che l’abbia perduta deve aspettarne il ritorno dopo una lunga e incerta convalescenza; ma chi risplende nel viso per l’interna fiamma dello spirito, può ritrovare in un momento la luce ammaliatrice d’una volta. L’anima non è soggetta alle lungaggini della medicina; nè la passione ha l’andamento grave e conquassato della malattia; essa corrode e rinsanguina, essa uccide e risuscita! È veleno e balsamo ad un tempo. Io l’ho visto le cento volte, l’ho provato per esperienza, lo proverò ancora!... —
Egli parlava con enfasi febbrile, le parole gli si affollavano sulle labbra confuse e smozzicate; rivedeva nella mente un barlume dell’antico splendore, e non voleva perderlo; ma gli venia meno la lena, e il respiro convulso affannato s’agitava in mezzo a quel tumulto di pensieri, di speranze, di illusioni, come un guerriero ferito a morte tra fantasmi di gloria e delirii di comando.
— Càlmati, Giulio! — soggiunsi io, non so se più impietosito o spaventato da quell’orgasmo; — vedi che della vita ne hai nell’anima oltre il bisogno; appunto la soverchia vitalità ti opprime; bisogna rintuzzarla. Io conosco il tuo male, e ne conosco anche il rimedio. So che ami disperatamente come si ama quella donna che è venuta incontro all’amor nostro, e ci ha stregato la fantasia colle gioje più dolci che l’amor proprio e la voluttà sappiano ammannire, lavorando di conserva! Ora quando un cotale amore è divenuto un tormento, che si tratta di fare per guarirne? Studiarne le origini, guardarne la fonte più in noi stessi che in altrui. Fu un inganno, fu un granchio preso: ecco tutto. Riàlzati, e ti si porgerà il destro di coglierlo un’altra volta, se sarai debole tanto da degnarti!...
— Capisco; — entrò egli a dire amaramente: — capi-