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capitolo nono. 413

contò che la cattura di alcuni studenti avvenuta il giorno prima, e lo sfratto intimato ad alcuni altri, e le perquisizioni a moltissimi, si ascrivevano comunemente a merito del signor avvocato.

— Quel tuo padre Pendola deve essere qualche inquisitore travestito, che lavora a doppio per tenerci al buio — continuò Amilcare; — a Venezia sono ancora al mille quattrocento, e si ha paura del mille ottocento che s’avvicina, ma noi, noi, oh no per dio, che non muteremo in loro servigio la nostra fede di nascita. Il buon senso omai non è il retaggio di cento famiglie di nobili. Tutti vogliono pensare, e chi pensa ha diritto di operare pel bene proprio e comune. Troppo ci condussero colle dande; il padre Pendola può esser giubilato: noi vogliamo camminar soli. —

Amilcare pronunciando queste parole si trasformava in tutta la persona; la sua fronte alta e rilevata, gli occhi profondi, le narici sottili e dilatate mandavano fiamme. Diventava più grande ancora che non fosse naturalmente, e pareva che per tutte le sue vene scorresse una vampa di orgoglio e di virtù.

— Cos’erano i Greci, cos’erano i Romani? — seguitava egli. — Gente che ha vissuto prima di noi, dell’esperienza dei quali noi possiamo giovarci, e furono potenti perchè virtuosi, virtuosi perchè liberi. Ma la virtù provenga dalla libertà o questa da quella, bisogna cimentarvisi. Il conato alla libertà sarà poderoso ed efficace ammaestramento di virtù. Licurgo che ha fatto per ridonare a Sparta la sua potenza? Le ha ridonato colle leggi i robusti costumi. Imitiamolo, imitiamolo! Leggi nuove, leggi valide, leggi universali, chiare, severe, senza scappatoje, senza privilegi! Ricordiamoci degli avi nostri che si chiamarono Bruti, Cornelii, e Scipioni! La storia si ripete allargandosi; l’ordine nuovo nasce dal disordine antico. Il buon tempo è giunto