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capitolo ottavo. 401

e saltarne qualche altra; e ad ogni tuffo nel calamaio, diceva fra me: — finalmente son riescito a non pensarci per una mezza giornata! — E così ci pensava senza scrupolo; ma la coscienza non se n’accorgeva, o per discretezza faceva l’indiana, come la madre di Adelaide.

Il padre Pendola mi parlò, mi istruì, mi consigliò parecchie volte nei brevi giorni che rimasi ancora a Fratta. Il piovano di Teglio gli dava mano colle sue esortazioni, e così io partii che mi pareva di andare ad una crociata, o poco meno. M’accorgo ora che mi mancava la fede; ma aveva la curiosità, l’orgoglio, il coraggio che possono impiastricciarne una pel momento. Quando il pensiero della Pisana cascava come un razzo alla Congrève fra il conciliabolo de’ miei nuovi proponimenti, ed uno scappava di qua, un altro si salvava per di là, io mi dava delle grosse picchiate nel petto sotto il tabarro, recitava qualche giaculatoria, e con un po’ di pazienza l’incendio si spegneva, e tornava cittadino e cristiano come voleva il padre Pendola. Forse peraltro non sarei giunto ad accontentare il piovano; il quale, clausetano fin nelle unghie, dopo la vana aspettativa d’un anno, tacciava l’ottimo padre di indolenza e di incuria negli affari della diocesi. Egli avrebbe voluto uno zelo da san Paolo. Il padre invece nuotava sott’acqua, e così ingannava meglio i pesci e le anitre; dopo ch’egli avea preso le redini della curia si osservava nel clero cittadino una disciplina esterna più uniforme e canonica. Non avrei voluto vedere che cosa stava ancora di sotto, ma si evitavano i sussurri, le censure, gli scandali. Con quattro paroline di prudenti preghiere, e qualche ammiccata d’occhi, il buon padre aveva ridonato agli ecclesiastici quelle dignitose apparenze, che sono di gran momento per mantenere l’autorità. Sicuro, che un Gregorio VII non si sarebbe arrestato lì; ma il reverendo padre sapeva contare i secoli, e voleva sanare il sanabile, non arrischiare

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