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letto nel mio cuore; ambidue prescrivono l’eguale rimedio; io sarò coraggioso e ne userò da forte! —

Il reverendo padre mi parlava ancora col suono carezzevole d’una cascatella fra i muscosi dirocciamenti d’un giardino; non saprei dire quali cose ei mi dicesse; ma nel togliermi di là ebbi il coraggio di offrire il braccio al conte ed alla Pisana perchè salissero in carrozza, e di accomodarmi poi a cassetta col pretesto del caldo, che pur non era molesto in una notte d’ottobre. Dopochè bazzicava in cancelleria avea libero ingresso nella carrozza dei padroni, e quella sera mi convenne anzi sostenere una battagliola col conte per non approfittare di questo prezioso diritto. Mi ricordai allora d’alcuni anni prima, quando scoperto l’invaghimento della Pisana per Lucilio avea fatto quella strada stessa appeso alle coregge posteriori della carrozza, e perduto in un turbine di pensieri e d’angosce che mi dissennava. Quella sera avrei dato la vita per poter sedere accanto a lei, e martoriarmi nella sua indifferenza e assaporare avidamente il male che mi si faceva. Quanto insuperbii di vedermi mutato a quel segno! Era io allora, invece, che volontariamente rifiutava di avvicinare la mia persona alla sua: dopo tanti spasimi, tante gelosie, tanti tormenti, finalmente avea conquistato il coraggio di fuggire! Non credo peraltro che arrivassi a Fratta nè più felice nè meno pallido; e se il povero Martino fosse stato vivo, certamente avrebbe notato la mia cattiva voglia. Invece trovai il cancelliere che aveva una carta di gran premura da farmi ricopiare, e non avendomi beccato durante la giornata, m’assalì sgarbatamente la notte. Lo credereste che io mi ci misi con un gusto matto? Mi pareva di principiare consapevolmente l’opera di mia redenzione; e mi compiaceva di lasciare andare a letto la Pisana senza fermarmi a guardare la luna, e pensare a martoriarmi dietro a lei. Gli è vero che ricopiando quella carta mi successe di duplicare qualche parola,