Io sedeva vicino al padre Pendola mangiando poco, discorrendo meno, osservando assai, e più di tutto macerandomi di rabbia e di gelosia. Giulio Del Ponte s’animava a tratti, si mesceva come uno scorribanda alla conversazione generale, lanciava un razzo di frizzi, di barzellette, d’epigrammi, e poi tornava al muto colloquio della vicina con tale atto che diceva: — Si parla più dolcemente così! — Si vedeva che quel suo brio non era spontaneo, cioè non era l’abbondanza della vena che lo faceva sgorgare. Piuttosto argomentava che, stando muto, o avrebbe fatto pensar male, o avrebbe perduto quella stima di giovane allegro e sfolgorante che gli avea conquistato il cuore della Pisana. Infatti costei che sorrideva soltanto alle sue occhiate, arrossiva fin nelle orecchie, sospirava, si confondeva quand’egli parlava lesto, grazioso, animato, e faceva scoppiar d’ognintorno l’applauso irresistibile delle risate. Giulio Del Ponte aveva indovinato la qualità della propria magia: le avea piaciuto in ragione della virtù che aveva di ravvivare, di rallegrare, di trascinare. Infatti sembrava che egli avesse tre anime invece di una; e gli occhi e i gesti e le parole e i pensieri avevano in lui tanta abbondanza e varietà, che non pareva bastare a tanto movimento quel solo fornello spirituale che dà calore di vita a ciascuno di noi. Scusatemi la similitudine; se la forza dell’anima si misurasse come quella del vapore, si poteva calcolare la sua a novanta cavalli, limitando a trenta quella della gente comune. Converrete meco ch’era una gran fortuna; ma guai, guai per questi Sansoni di spirito se Dalila taglia loro i capelli! Guai dico: il premio stesso della lor vigoria li precipita; quell’amore che negli altri è un alimento, in essi invece è un inciampo, una sottrazione. Distraendo la loro attività dal suo campo naturale, li sprovvede del predominio che avevano, per confonderli alla plebaglia degli altri innamorati, ognuno de’ quali può soverchiarli con al-