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386 le confessioni d’un ottuagenario.

reggiava perfino le lontane lusinghe che ancora mi rimanevano.

Un giorno, dopo aver scritto molte ore in cancelleria, senza che questa occupazione mi fosse di gran giovamento, pensai d’andarmene a Portogruaro per congedarmi dall’eccellentissimo Frumier. Si era già allo scorcio dell’ottobre, e poco sarei stato ad imbarcarmi per Padova. Guardate che combinazione! La Pisana era appunto in quel giorno a pranzo dallo zio, e se ora io giurassi che non ne sapeva nulla, certo non mi credereste. Si festeggiava l’onomastico della nobildonna, e facevano cerchio alla mensa Giulio Del Ponte, il padre Pendola, monsignor di Sant’Andrea e tutti gli altri della conversazione. Il senatore m’accolse come fossi già invitato; ed io feci l’indiano, e sedetti non senza sospetto che la Pisana, per tormisi d’infra i piedi, m’avesse taciuto l’invito. Infatti la sua vicinanza a Giulio, le occhiatine che si scambiavano, e la confusione delle loro parole quando venivano interrogati mi chiarivano abbastanza ch’io doveva essere per lei, se non un incommodo, certo un assai inutile testimonio. Incommodo no; perchè già a mio riguardo non la si sarebbe tirata indietro da nulla. In tutte le parti anche migliori dell’animo suo ella mancava affatto di quella delicatezza, che sovente è mera abitudine e talvolta anche ipocrisia, ma che conserva in uno squisito sentimento di pudore il rispetto alla virtù. Donde avrebbe ella appreso queste raffinatezze delle maniere femminili? Sua sorella Clara, che sola avrebbe potuto insegnargliele, viveva sempre lontana da lei in camera della nonna; essa, lasciata in balìa di manifestare e imporre tutti i proprii capricci, aveva imparato mano a mano non solo a lasciar loro il freno sul collo, ma anche a non prendersi briga di esaminarli e di nasconderli se fossero brutti e vergognosi. La padronanza dell’istinto uccide il pudore dell’anima, che nasce da ragione e da coscienza.