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capitolo ottavo. 385

camente i tuoi consigli, e mostrandosi degno di averne raccolto il prezioso retaggio.

Primo effetto di cotal proponimento fu di allontanarmi dal castello di Fratta, per condurmi qua e là in cerca di svagamenti e di piaceri come altre volte avea fatto. Indi feci sfilare dinanzi alla ragione tutta la piccola squadra de’ miei doveri, e trovandola poco numerosa, mi balenò alla mente quell’oscura falange di doveri sconosciuti che mi poteva assalire quandochessia, e la quale anzi, secondo Martino, io avrei dovuto chiamare in mio aiuto contro i tedii dell’infelicità. Per allora non fu che un balenio; e sonai sì campana a martello per ogni cantone dell’animo; ma nessun nuovo sentimentosorse a gridarmi: — Tu devi far questo e devi tralasciar quest’altro. Circa al romperla colla Pisana era già d’accordo con me stesso; sentiva, il dolore e quasi la impossibilità di questo sacrifizio, ma non me ne celava l’obbligo assoluto. E poi e poi, riconoscenza, carità, studio, temperanza, onestà, in ogni altro punto trovava le partite in ordine, non c’era di che ridire. Soltanto temeva d’aver mostrato finallora poco zelo nel mio noviziato di cancelleria; ma fermai di mostrarlo in seguito, e cominciando dal domani scrissi il doppio di quanto soleva scrivere ai giorni prima. In quel benedetto domani doveva anche principiare a non guardar più la Pisana, a non cercarla, a non chieder conto di lei; ma vi feci sopra tanti ragionamenti, che protrassi il cominciamento dell’impresa al posdomani. In seguito tirai innanzi un giorno ancora, e finii col persuadermi che il mio dovere era soltanto di assopir l’amor mio, di svagarlo, di stancheggiarlo coll’adempimento degli altri doveri, non di assassinarlo direttamente. L’anima mia ne era così piena, che sarebbe quasi stato un suicidio; così per non ammazzarmi lo spirito tutto d’un colpo seguitai a stracciarlo, a tormentarlo brandello per brandello. Il rimorso d’una colpa, conosciuta e ribadita dall’intelletto, ama-