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380 | le confessioni d’un ottuagenario. |
perchè tutto finisce. Parlo delle cose di questa vita. Ma le gioie del paradiso non finiscono mai; e neppure la fede nel Signore Iddio. Ch’egli mi aiuti a conseguirlo. Amen.»
In un cantuccino rimasto bianco stavano scritte, con carattere più minuto e posteriore, queste altre due massime:
«Quando sei buono a nulla per vecchiaia o per malattia, considera ogni servigio che ti si rende come un dono spontaneo.
»Non sospettare il male; ne vedi anche troppo di certo per immaginarti l’incerto. I giudizii temerari sono proibiti dalla legge del Signore. Ch’egli mi benedica. Amen.»
Confesso la verità, che decifrata questa scrittura io rimasi umiliato di molto ed anche un po’ afflitto d’averla letta. Io che avea sempre stimato Martino un semplicione, un dabben uomo, un buon servitore, umile, premuroso, riservato come se ne usavano una volta, e nulla più! Io che appetto a lui, massime negli ultimi anni, dappoichè rosicchiava un po’ di latino, mi teneva per un uomo di conto, e mi stimava di seguitare a volergli bene, quasi fosse la mia una gran degnazione! Io che avrei sdegnato di fargli parte del mio peregrino sapere, per paura non già che essendo sordo non mi udisse, ma che non mi comprendesse pel suo ingegno zotico e triviale!... Guardate! con quattro righe buttate giù sulla carta egli me ne insegnava dopo morto, più ch’io non avrei potuto insegnarne agli altri studiandoci sopra tutta la vita! Di più frammezzo a’ suoi precetti ve n’erano di tanto sublimi nella loro semplicità che io non arrivava a comprenderli; e sì che le parole dicevano chiaro! — Per esempio, dove stava scritto di cercare quali altri doveri sconosciuti ci incombessero se l’adempimento di quelli che conosciamo non bastasse a farci vivere in pace con noi stessi, cosa voleva dire il buon