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capitolo ottavo. 371

Il capitano imbeccato dalla Veronica rispondeva a tutto di sì; e poi torceva e ritorceva quei suoi poveri baffi, che a furia di esser toccati, stravolti, malmenati, s’erano ridotti, di neri grigi, di grigi canuti, e di canuti gialli. Avevano il più bel colore di zucchero filato che si potesse vedere; e soltanto la coda di Marocco, in merito della vecchiaja e dell’essere continuamente abbrustolita sul fuoco, aveva acquistato una tinta consimile. Marchetto aveva offerto al capitano, per quella sola coda, la cessione di tutti i suoi crediti di gioco; e l’Andreini e il cappellano affermavano, che solo il valoroso Sandracca ed il suo nobile cane da ferma, potevano gareggiare coll’alba nel colore del pelo. Questi ospiti perpetui del castello di Fratta erano divenuti sempre più domestici e burloni, dopo la partenza della contessa; e neppure il cappellano pativa più tanto la soggezione. Perfino i gatti della cucina aveano perduto l’antica salvatichezza, e s’accoccolavano fra le ceneri e sui piedi della compagnia. Un vecchio gattone soriano, grave come un consigliere, s’era legato di strettissima amicizia con Marocco: dormivano insieme in comunanza di paglia e di pulci, passeggiavano di conserva, mangiavano sullo stesso desco, e s’esercitavano alla stessa caccia, a quella dei sorci. Ma con molta discretezza e affatto signorilmente; si vedevano in essi i cacciatori dilettanti che si movevano per ingannar l’ora, e cedevano la preda al servitorame degli altri gatti e gattini della cucina.

A dirvi il vero, trascorsi i primi giorni nei quali la Pisana era tornata la mia fedelona d’una volta, io non ci stava bene per nulla in mezzo a quella gente. Quando era piccino mi accontentava di non intenderli e di ammirarli; allora invece li intendeva benissimo, senza capire come potessero godersi di tante scipitaggini. Mi ficcai dunque per disperazione in cancelleria; e là impasticciava protocolli, e copiava sentenze, raccomodando anche mano a mano