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368 le confessioni d’un ottuagenario.

zia, e gli esempii altrui sia a Fratta che a Portogruaro ed a Padova, aveano lasciata assai lenta la briglia a’ miei costumi. Pure coll’avara cautela dell’amore, io studiai ogni via per ritrar la Pisana da quel pericoloso sentiero a cui mi pareva avviata. Era carità pelosa, se volete; ma il tentativo era a fine di bene, senza metter in conto altri intenti personali. La Pisana non s’avvide di questi miei sforzi; la Faustina e la Veronica ne indispettirono. Quest’ultima, credo, ebbe paura ch’io intendessi farle la satira a lei ed alla sua manica larga; ma se ella temeva ciò in fatti, doveva farne suo pro e correggere con qualche accorgimento di severità una eccessiva indulgenza. Al contrario continuò nella sua cieca condiscendenza, vendicandosi di me collo screditarmi in ogni mala guisa presso la Pisana. Io credo in ultima analisi ch’ella riversasse sopra questa povera disgraziata tutto l’odio che aveva accumulato nel fegato contro la contessa sua madre, in tanti e tanti anni di spregii sofferti, e di muta e tremante servitù. Se ne pagava col guastarla nell’ozio, nella frivolezza e nelle famigliarità d’ogni peggior vitupero; non sarebbe questo il primo esempio di simile vendetta per parte d’un’aja. Baldracca più sboccata di lei e della Faustina io non mi ricordo di averla trovata mai in nessun porto di mare; ma dinanzi al conte e a monsignore sapeva star contegnosa, e tutte le sere nella stanza della contessa vecchia intonava devotamente il rosario, cui la inferma dal suo letto, e una contadinella destinata a vegliarla dopo la partenza della Clara, rispondevano con voce sommessa.

La Pisana anche colla nonna usava come cogli altri; una settimana sì ed un’altra no; non v’erano che suo padre, il cancelliere e lo zio monsignore, che non godessero de’ suoi insulti di tenerezza; ma questa era gente di carta pesta, che non aveva anima, che non aveva nè indole propria nè colore, e la Pisana se ne dimenticava. Du-