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capitolo ottavo. 367

duto le forze, la salute, fossi morto sfilato il giorno dopo, non avrei esitato a entrar ne’ suoi panni per godere un istante di trionfo, e credere ch’ella mi amava più di se stessa! Sciocco di pensare e di desiderar ciò! Nessuno al mondo esisteva, per quanto incantevole e perfetto, che avesse potuto concentrare in se solo e per sempre tutti gli affetti, tutti i desiderii della Pisana. Io che ne aveva una buona parte, desiderava l’altra: se avessi ottenuto questa, mi sarebbe mancata la prima. Poichè nè Giulio, nè alcun altro prima o dopo di lui potè vantarsi di godere al pari di me la confidenza e la stima della Pisana. Io solo, io solo ebbi questa parte più intima e sola forse santa dell’anima sua; io solo, nei pochi intervalli che fui da lei beato d’amore ho potuto credermi padrone di tutto l’esser suo, veramente amante, poichè l’amava conoscendola com’ella era; veramente amato, perchè al sentimento che mi destava, la ragione stessa dava la sveglia e l’abbandono soave della gratitudine. Oh! mi si conceda questo unico premio d’un amore sì lungo, paziente, infelice. Mi si conceda di poter credere che come io prelibai le delizie di quell’anima, così solo ne ebbi il pieno godimento. Nè lo spettacolo d’un bello e vario prospetto di natura, nè l’aspetto d’un quadro finitamente condotto può apprezzarsi degnamente se non da chi ha vera conoscenza della natura e dell’arte. Nessuno potrà apprezzare certo i tesori di un’anima, se non ne ha indagato con lunga consuetudine e con devoto e profondo amore i più reconditi nascondigli. La Pisana fu una creatura siffatta, che soltanto chi nacque, si può dire, e crebbe con lei, e pensò sempre a lei, e non amò che lei, può averla interamente indovinata.

In onta alle lezioni del piovano, posso assicurarvi che io non era in fin d’allora nè un cristiano esemplare, nè un giovine scrupoloso. La libertà lasciatami nell’infan-