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capitolo ottavo. 363

siderii, di voluttà e d’amore traluceva da tutta lei, che le si respirava dintorno quasi un’aria infuocata. Io era geloso di chi la guardava: e come poteva non esserlo io che l’amava tanto, io che la conosceva fin nel profondo delle viscere? — Povera Pisana! — Ne aveva ella colpa se la natura, abbandonata a se stessa, avea guastato di sua mano ciò ch’ella di sua mano avea preparato, perchè gli amorosi accorgimenti dell’arte ne cavassero un prodigio d’intelligenza, di bellezza e di virtù? Ed io, aveva io colpa d’amarla tuttavia, ebbi poi colpa d’amarla sempre, quantunque ingrata, perfida, indegna, se sapeva di essere il solo al mondo che potessi compatirla? La terribile sventura del peccato non ha ad essere ricompensata quaggiù da nessun conforto?

Memoria, memoria che sei tu mai! Tormento, ristoro e tirannia nostra, tu divori i nostri giorni ora per ora, minuto per minuto, e ce li rendi poi rinchiusi in un punto, come in un simbolo dell’eternità! Tutto ci togli, tutto ci ridoni; tutto distruggi, tutto conservi, parli di morte ai vivi e di vita ai sepolti! Oh la memoria dell’umanità è il sole della sapienza, è la fede della giustizia, è lo spettro dell’immortalità, è l’immagine terrena e finita del Dio che non ha fine, e che è dappertutto. Ma la mia memoria frattanto mi servì assai male; essa mi legò giovine ed uomo ai capricci d’una passione fanciullesca. Le perdono tuttavia; perchè val meglio a mio giudizio il ricordar troppo e dolersene, che il dimenticar tutto per godere. Dirvi quanto soffersi nel giro di quelle poche settimane sarebbe opera lunga. Ma deggio pur confessare a mia lode, che la compassione più assai della gelosia mi tormentava; nessun cruccio è così forte come quello di dover biasimare e compiangere l’oggetto del amor nostro. Le stranezze della Pisana toccavano sovente all’ingiustizia; spesso apparivano svergognatezza, se io non avessi ricordato quanto spensierata ella fosse di natura.