Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/374


capitolo settimo. 347

assicurazioni che lo stato della zitella gli faceva compassione, e che si avrebbe dato ogni fretta.

Ma i Partistagno nascevano tutti col cerimoniale in testa; e prima che il giovine avesse preparato tutti gli ingredienti necessarii ad una domanda solenne di matrimonio, passarono de’ giorni assai. In quel frattempo veniva a Fratta, secondo il solito, e guardava la Clara, come la castalda usa guardare il pollo d’India da lei tenuto in pastura pel convito pasquale. Un giorno finalmente sopra due palafreni bianchi bordati d’oro e di porpora, due cavalieri si presentarono al ponte levatoio del castello. Menichetto corse a tutte gambe in cucina per dare l’annunzio della solenne comparsa, mentre i due cavalieri gravi e pettoruti s’avanzavano verso le scuderie. L’uno era il Partistagno col cappello a tre punte piumato, coi merletti della camicia che gli uscivano una spanna fuori dallo sparato, e con tanti anelli, spilli e spilloni, che pareva addirittura un cuscinetto da signore. Lo accompagnava un suo zio materno, uno dei mille baroni di Cormons, vestito tutto a nero con ricami d’argento come portava la solennità del suo ministero. Il Partistagno rimase ritto a cavallo come la statua di Gattamelata, mentre l’altro scavalcava, e consegnate le redini al cocchiere, entrava per la porta dello scalone che gli veniva spalancata a due battenti.

Fu introdotto nella gran sala, ma dovette aspettare qualche poco perchè anche i conti di Fratta sapevano il galateo, e non volevano mostrarsi da meno dei loro nobilissimi ospiti. Finalmente il conte, con una giubba tessuta letteralmente di galloni, e la contessa con venti braccia di nastro rosa sulla cuffia, gli si presentarono con mille scuse dell’involontaria tardanza. La Clara vestita di bianco, e pallida come la cera, veniva a mano della mamma; il cancelliere e monsignor Orlando, che avea fra mano il tovagliolo e lo nascose in una tasca dell’abito, stavano