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capitolo settimo. | 341 |
pognare la Clara; ed essendo tornati pei fatti loro i curiosi della cucina, anche il papà e lo zio si misero intorno alla giovinetta tormentandola malamente. Ella sopportava tutto non già con la fredda rassegnazione che move il dispetto, ma col vero dolore di chi vorrebbe e non può accontentare altri di quanto gli vien ricchiesto. Un tal martirio durò per lei molti giorni; e la contessa se l’era legata al dito che l’avrebbe sposata al Venchieredo, o sarebbe cacciata in un convento senza misericordia. Già si cominciava anche a mormorare di Lucilio più forte che mai; e il giovine doveva serbarsi più prudente che per lo addietro nelle sue visite. Ma sparsasi intorno la notizia dell’ostinato rifiuto della Clara ad imparentarsi col Venchieredo, furono anche parecchi che ne accagionarono un segreto amore da lei concepito pel Partistagno. Fra questi primo era il Partistagno stesso, il quale, avuta contezza della cosa, capitò al castello più sorridente e pettoruto del solito; egli guardava dall’alto in basso tutta la famiglia, e nelle tenere occhiate che teneva in serbo per la Clara, non si avrebbe potuto definire se l’amore soverchiasse la compassione, o viceversa. Il fatto sta che anche alla contessa balenò quell’ipotesi nel cervello; e poichè non si degnava di sospettare intorno a Lucilio, essa gli parve abbastanza fondata. Ma quel benedetto Partistagno non si decideva mai a far un passo innanzi. Erano anni che lavorava colle sue occhiate, co’ suoi sorrisi, senza che si aprisse per nulla l’animo suo. Raimondo invece veniva, si può dire, coll’anello in mano; e non si trattava che di accennare un sì, perch’egli fosse beato e riconoscente di poterlo dare alla Clara. Queste considerazioni non diminuivano punto il mal sangue della signora verso la figlia; tanto più che anche le ultime vicende non sembravano aver dato fretta alcuna al glorioso castellano di Lugugnano.
Un giorno pertanto che i Frumier avevano invitato a