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capitolo settimo. 339

— San Tommaso fu un gran santo, ed io lo rispetto e lo venero. Quanto a me, ripeto a lei quello che dovetti dire alla signora madre, alla nonna, al papà ed allo zio. Io non posso promettere di amare un marito che non potrò amare mai. Obbedire nel concedermi a questo marito sarebbe un obbedire col corpo, colla bocca, ma col cuore no. Col cuore non potrei mai. Laonde mi permetterà, padre, di rimanere zitella.

— Oh contessina! badi e torni a badare! Il suo ragionamento pecca nella forma e nella sostanza. L’obbedienza non ha la lingua così lunga.

— L’obbedienza quando è interrogata risponde, ed io non chiamata non avrei risposto mai, glie lo assicuro, reverendo padre!

— Alto là, contessina! ancora una parola! Ho da dirle tutto?... Ho dunque da spiegarle tutta la virtù che si può cristianamente pretendere da una figliuola esemplare?... Ella si professa pronta ad obbedire tutti quei comandi dei suoi genitori, che si sente capace di eseguire. Ottimamente, figliuola!... Ma che cosa le comandano i suoi genitori? Le comandano di sposare un giovine che le viene profferto, nobile, dabbene, ricco, costumato, dall’alleanza col quale proverranno grandi beni a tutte e due le famiglie e all’intero paese! Quanto al suo cuore, essi non lo comandano punto. Al cuore ci penserà ella in seguito; ma la religione vuole che la si pieghi intanto in quello che può, e stia certa che, come premio di tanta sommessione, Dio le largirà anche la grazia di adempiere perfettamente tutti i doveri del suo nuovo stato. —

La Clara rimase qualche tempo perplessa a questo sotterfugio del moralista; tantochè egli racquistò qualche lusinga di averla piegata, ma la sua vittoria fu assai breve, perchè brevissima fu la perplessità della giovine.

— Padre — riprese ella col piglio risoluto di chi con-