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capitolo settimo. 333

contessa occhieggiando la figlia. — Una sposina come quella si quadra meglio del prete a un giovine di ventun’anno.

Infatti la settimana seguente tutta Portogruaro fu piena della gran novella. Il celebre, l’illustre, il dotto, il santo padre Pendola si ritirava in casa Frumier, stanco delle fatiche d’un lungo apostolato. Colà egli disegnava mettere in pace la sua età non molto provetta ancora, ma pur afflitta pei sofferti disagi da molti incommodi della vecchiaja. Il vecchio cappellano era stato trasferito, come desiderava, ad una cura vicino a Pordenone: e il Senatore e la nobildonna non potevano capire in sè per la gioja di possedere in sua vece un tanto luminare d’ecclesiastica perfezione. Raimondo avea fatto le viste di adirarsi, perchè egli volesse uscire di sua casa prima che fosse entrata la sposa; ma il buon padre non ebbe bisogno di sfiatarsi per persuaderlo, che ad un giovine vicino a fidanzarsi non si affaceva la tutela del precettore, e che per tutte le ragioni conveniva che la sua partenza da Venchieredo precedesse d’alcun poco la celebrazione degli sponsali.

Raimondo lo vide partire senza molte lagrime, e continuò a frequentare il castello di Fratta, dove la confidente affabilità della Pisana lo compensava del gelato riserbo della Clara. Ma a costei non aveano ancor fatto cenno della fortuna che l’aspettava; ed egli attribuiva a ciò lo sforzo da lei durato per nascondergli la veemenza dell’amor suo. Del resto non se ne pigliava grande affanno; e se Clara gli falliva, egli avrebbe goduto di ricattarsi colla sorella. Questi erano i filosofici sentimenti del signore di Venchieredo; ma la contessa non la pensava a quel modo. Dopo aver lasciato i due giovani entrare, secondo lei, in una decente dimestichezza, prese ella a preparare la Clara alla domanda del giovine; e parla e riparla, s’inquietò alla fine un poco a vederla restare così fredda e imperterrita come non si trat-