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330 le confessioni d’un ottuagenario.

— Sì, Raimondo, ne metterei le mani nel fuoco.

— Or bene, padre; le nozze non si potrebbero fare domenica?

— Potenza del cielo, domenica dici' e poi raccomandi a me di non aver troppa fretta! ci vorrà qualche settimana, forse qualche mese, figliuol caro. Le cose di questo mondo camminano con un certo ordine che non va disturbato. Tuttavia nel frattempo tu potrai vedere la tua fidanzata, e parlarne, e star a lungo con lei nel castello di Fratta, e presenti i genitori.

— Oh che consolazione, padre! Così potrò continuare a vedere anche la Pisana!

— S’intende, ed amarla e trattarla coll’onesta confidenza di un futuro cognato. Stai cheto, figliuol mio; confida in me e dormi pure tranquilli i tuoi sonni, chè le lusinghe del tuo venerabile zio non andranno deluse, e partecipandogli il tuo matrimonio potrò assicurarlo che io ti ho fatto buono e felice! —

Il nobile giovine pianse di tenerezza a queste parole, baciò la mano al diligente precettore, e salì nella sua stanza da letto, colla Pisana e la Clara che gli ballavano confusamente nella fantasia. Ormai non sapeva ben quale, ma sentiva distintamente che ognuna delle due sarebbe stata quella sera la benvenuta. Sopra queste felici disposizioni avea contato il padre Pendola, per distorglierlo da quell’impensato capriccio per la Pisana, e rinfiammarlo della Clara; nè l’esito gli ebbe a fallire. Soltanto andando egli pure a letto, seguitò a maravigliarsi e a congratularsi di quel nuovo impiccio così venturosamente evitato.

— Ah la birboncella — pensava egli — me ne ero accorto io che in quei suoi quattordici anni ne covavano trenta di malizia!... ma così a rompicollo, non me lo sarei mai immaginato. Proprio chi afferma che il mondo progredisce sempre, finirà coll’aver ragione. —