Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/349

322 le confessioni d’un ottuagenario.

cognata! che, padre reverendo! lei vorrebbe proprio adattarsi alla vita meschina d’un maestro di casa?

— Sì, quando il mio alunno si maritasse, — rispose il padre Pendola.

— Oh, si mariterà, si mariterà! non li vede? pajono proprio fatti l’uno per l’altro.

— Infatti se io dicessi una parola.... Raimondo.... Basta! mi lasci studiare i loro temperamenti, che li osservi un pochino anch’io.... —

— Eh, cosa serve mai studiarli questi cuori di vent’anni? Non li vede, no!? basta una squadrata negli occhi... i loro pensieri, i loro affetti sono là. E poi si fidi di me!... Sono tre mesi, sa, ch’io li studio tutte le sere. Si figurerebbe lei, padre reverendo, che da sei settimane io meditava di farle questo discorso, e che me ne è sempre mancato il coraggio?

— Davvero, signora contessa?... Oh cosa la mi conta! Mancare il coraggio a lei di chiamarmi a parte di un’opera di tanta carità, e di tanto utile e di tanto lustro per due intere famiglie!

— Non è vero, padre che la pensata è buona?... E non sarà un bel regalo di nozze, se si otterrà dall’Inquisitore di veder graziato del resto della pena quell’altro poveretto?... Così finirà una lunga serie di dissidii, di malanni, di sciagure che affliggeva tutte le anime buone dei nostri paesi!

— Oh sì certo! e io mi ritirerò contento, se potrò affidare la felicità del mio figliuolo d’anima a una sì compita sposina; ma son cose, contessa mia, che vanno ponderate a lungo. Appunto perchè io posso molto sull’animo di Raimondo...

— Sì, giusto per questo, la prego di volergli chiarire tutti i vantaggi che verrebbero ad ambidue le case da questo sposalizio...