Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/339

312 le confessioni d’un ottuagenario.

in casa Frumier. Il conte di Fratta ne rimase un po’ imbarazzato; perchè non dimenticava che se non per opera, certo per tolleranza sua, il padre di quel cavalierino mangiava il pane bigio nella Rocca della Chiusa. Ma la contessa, che era donna di talento, trascorse un bel tratto innanzi coll’immaginazione, e architettò di sbalzo un disegno che poteva togliere fra le due case ogni ruggine. Il Partistagno, nel quale avea posto grandi speranze dapprincipio, non dava sentore di volersi muovere; adunque qual male sarebbe stato di tirare il Venchieredo ad un buon matrimonio colla Clara?... Riuniti così gli interessi delle due famiglie, si avrebbe avuto il diritto di adoperarsi per la liberazione del condannato; allora la riconoscenza e la felicità avrebbero dato di frego alle brutte memorie del tempo trascorso; e che si potesse giungere a sì lieta conclusione ne dava caparra la protezione validissima del senatore Frumier. Il padre Pendola era un sacerdote di coscienza e un uomo di molto garbo; capacitatolo una volta della convenienza di questo maritaggio, egli avrebbe persuaso certamente il suo alunno; dunque bisognava cominciare per di là, e l’accorta dama si pose immantinente all’opera. Il reverendo padre non era di coloro che vedono una spanna oltre al naso, e vogliono dare ad intendere di vederci lontano un miglio; anzi tutt’altro; vedeva lontanissimo, e portava gli occhiali con una cera rassegnatissima di minchioneria. Ma io credo che non gli bisognavano due alzate d’occhi per leggere nel cervello della contessa; e contento d’essere accarezzato, corrispose alle premure di lei con una modestia veramente edificante.

— Poveretto! — pensava la signora — crede che lo vezzeggi pel suo raro merito! È meglio lasciarglielo credere; che ci servirà con miglior volontà. —

Il giovine Venchieredo intanto correva incontro di gran lena agli onesti divisamenti della contessa. Si può dire