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capitolo sesto. 303

bastare ai colloqui di due che si vogliono bene. Parole mille volte ripetute ed udite, sempre con significato e con piacere diverso; le quali basterebbero a provare, che l’anima sola possiede la magica virtù del pensiero, e che il moto delle labbra non è altro che un vano balbettìo di suoni monotoni senza il suo interno concento. Lucilio stava già per aprire il varco a tutto quell’amore che da tanti giorni lo soffocava, quando udì dietro di sè il passo saltellante e la vocina acuta della Pisana che gridava: — Clara, Clara, aspettami dunque, che vengo anch’io a farmi un mazzetto! — Lucilio si morse le labbra e non potè o non credette necessario celare il proprio dispetto; la Clara invece, che si era volta colla solita bontà a guardar la sorella, ebbe bisogno di osservare l’addolorato volto del giovine per rattristarsi anch’essa. — Quanto a sè il contento procurato alla fanciulletta da un mazzo di fiori, l’avrebbe forse pagata delle mancate delizie d’un colloquio tanto sospirato coll’amante. Era buona, buona anzi tutto; e in anime così fatte perfino la violenza delle passioni s’attuta alla considerazione dei piaceri altrui. Ma al giovine non garbava forse questa facile rassegnazione, e il suo dispetto se ne accrebbe dimolto. Si volse egli dunque con viso un po’ arrovesciato alla Pisana, e le domandò se avesse lasciato sola la Nonna.

— Sì, ma ella stessa mi ha permesso di venire a coglier fiori colla Clara; — rispose la Pisana stizzosamente, perchè non consentiva a Lucilio l’autorità di sindacarla a quel modo.

— Quando si ha cuore e gentilezza di animo, bisogna saper non usare di certi permessi; — soggiunse Lucilio — Una vecchia malata e bisognevole di compagnia non va piantata lì senza ragione, per quanto essa sembri permetterci di farlo. —

La Pisana sentì venirsi agli occhi le lacrime dalla rabbia; volse dispettosamente le spalle, e non rispose nem-