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capitolo sesto. | 295 |
rii, al padrone cui l’avrebbero venduta. Il suo cuore sarebbe rimasto mio, le anime nostre avrebbero continuato ad amarsi; io sarei stato felicissimo di vederla passare alcuna volta frammezzo a’ suoi bambini: sarebbe stata la mia una beatitudine di impadronirmi d’alcuno fra questi quand’ella non mi avesse osservato, di stringermelo sul cuore, di baciarlo, di adorarlo, di cercare nelle sue fattezze la traccia delle sue; e di illudermi e di pensare che la parte misteriosa del suo spirito, che s’era transfusa in quel bambino, aveva appartenuto anche a me, quando ella amava me solo con tutte le potenze dell’anima. Garzoncello di non ancora quattordici anni, io la sapeva lunga delle cose di questo mondo; lo sbrigliato cicaleccio dei servi e delle cameriere me ne aveva insegnato oltre il bisogno; eppure giungeva a debellare il confuso tumulto dei sensi, a frenare lo slancio d’un’immaginazione innamorata, e a desiderare un’esistenza non d’altro ricca che di soavi dolori, e di gioje melanconiche. Premio de’ miei sforzi, della mia devozione, raccogliere invece la dimenticanza e l’ingratitudine! E neppure si scordava di me per un altro amore; chè allora almeno avrei avuto il conforto della lotta, dell’odio, della vendetta. No, mi gettava via come un arnese disutile, per correr dietro a un vano splendore di superbia, per invaghirsi pazzamente d’un sogno mostruoso e impossibile. L’abborrimento contro Lucilio che in principio avea concepito, era caduto a poco a poco in un rabbioso disprezzo per la Pisana. Lucilio per lei era un vecchio, egli non le era sembrato mai nè bello nè amabile: ci erano voluti gli omaggi delle altre perchè ella apprezzasse i suoi pregi troppo alti e virili al suo criterio ancor fanciullesco. Io mi vedeva sacrificato senza rimorso alla vanità.
— No, ella non ha un briciolo di cuore, nè un barlume di memoria, nè un avanzo di pudore! Sì, la disprezzo come merita; la disprezzerò sempre! — gridava dentro di me.