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capitolo sesto. 291

nare la conversazione del senatore, senza aver fatto vedere neppur la punta del fazzoletto ad alcuna di quelle odalische. Soltanto passando o ripassando, trovava modo di inondare tutta la persona di Clara con una di quelle occhiate che sembrano circondarci, come le salamandre, d’un’atmosfera di fuoco. La giovinetta tremava in ogni sua fibra a quell’incendio repentino e soave; ma l’anima serena ed innocente seguitava a parlarle negli occhi col suo sorriso di pace. Pareva che una corrente magnetica lambisse co’ suoi mille pungiglioni invisibili le vene della donzella, senzachè potesse turbare il profondo recesso dello spirito. Più insormontabile d’un abisso, più salda d’una rupe s’interponeva la coscienza. La modestia, più che il luogo inosservato ove costumava sedere, proteggeva la Clara dalle curiose indagini delle altre signore. Sapeva ella farsi dimenticare senza fatica; e nessuno poteva sospettare che il cuore di Lucilio battesse appunto per quella, che meno di tutte si affaccendava per guadagnarselo. La signora correggitrice non usava tanta discrezione. Fino dalle prime sere le sue premure, le sue civetterie, le sue leziosaggini pel desiderato giovine di Fossalta, aveano dato nell’occhio alla podestaressa, e alla sorella del Sopraintendente. Ma queste due alla lor volta si erano fatte notare per la troppa stizza che ne dimostravano: insomma Paride frammezzo alle dee non dovette essere più impacciato che Lucilio fra quelle dame; egli se ne spicciava col non accorgersi di nulla.

V’avea peraltro un’altra signorina che forse più di ogni altra e della correggitrice stessa teneva dietro ai gloriosi trionfi di Lucilio, che non distoglieva mai gli occhi da lui, che arrossiva quand’egli se le avvicinava, e che non aveva riguardo di avvicinarsi a lui essa medesima per toccar il suo braccio, per sfiorare le sue vesti, e contemplarlo meglio negli occhi. Questa sfacciatella era la Pisana. Figuratevi! una civettuola di dodici anni non ancora