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capitolo sesto. 279

risata. Ogni appiglio per burlare era buono. Chi ha cercato in Inghilterra i creatori dell’umorismo non visse mai certamente a Venezia, nè mai passò per Portogruaro. Vi avrebbe trovato, frutto di lunghi ozii secolari, di ottimi stomachi e d’ingegni pronti allegri, svegliati, quell’umorismo meridionale che tanto si distingue dal settentrionale, quanto la nebbia notturna del palude dall’orizzonte lucente e vaporoso d’un bel tramonto d’estate. La vita e le cose che sono in essa, disprezzate ugualmente; ecco la parentela; ma perciò appunto volte tutte alla spensieratezza, alla gioia; ecco la diversità. In Inghilterra invece danno in melanconie, si rodono, si appassionano, si ammazzano. Sono due immoralità, o due pazzie diverse; ma non voglio decidermi per nessuna delle due. Il cervello forse correrebbe da un parte e il cuore dall’altra secondochè s’apprezza meglio o la dignità o la felicità umana.

Intanto io vi assicuro che per quei capi ameni il saltare dagli scandali di Caterina II alle avventure della tal dama, e del tal cavaliere era uno scambietto da nulla. Il nome d’una persona ne tirava in ballo altre due; e queste quattro e così innanzi sempre. Non si rispettavano nè i lontani nè i presenti; e questi avevano il buon gusto di sopportare lo scherzo e di non ricattarsene tosto ma di aspettare il momento opportuno che già arrivava o presto o tardi. Molta cultura, piuttosto superficiale se volete, ma vasta e niente affatto pedantesca, moltissimo brio, grande snellezza di dialogo e soprattutto un’infinita dose di tolleranza componevano la conversazione di quel piccolo areopago di buontemponi, come io ho voluto descriverla. Badate che adopero la parola buontemponi non sapendo come tradurre meglio quella francese di viveurs che prima m’avea balenato in mente. Avendo vissuto assai con francesi questo incommodo mi disturba sovente; e non ho sempre tanta conoscenza della mia lingua da disimpacciar-