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272 le confessioni d’un ottuagenario.


tro di Portogruaro, che stava aperto un mese ogni due anni, godeva il raro privilegio di far parlare di sè un centinaio di bocche gentili per tutti i ventitrè mesi intermedii. Esaurita questa materia, si calunniavano a vicenda con una ostinazione veramente eroica. Ognuna, ci s’intende, aveva il suo cicisbeo, e cercava di rubarlo alle altre. Taluna portava questa moda tant’oltre che ne aveva due e perfino tre; con diritti variamente distribuiti. Chi porgeva la ventola, chi l’occhialetto, il fazzoletto, o la scatola; uno aveva la felicità di scortare la dama alla messa, l’altro di condurla al passeggio. Ma di quest’ultimo divertimento erano di stile molto parche. Non potendo godere le divine mollezze della gondola, e facendole raccapricciare la sola vista del barbaro movimento della carrozza, si vedevano costrette di uscire a piedi, fatica insopportabile a piedini veneziani. Qualche villanzone del contado, qualche zotico castellano del Friuli osava dire, che l’era un’ultima edizione della favola della volpe e dell’uva non matura, e che già di carrozza, anche a volerla con tutte le forze dell’anima, non ne avrebbero potuto beccare. Io non saprei a chi dar ragione; ma la gran ragione del sesso mi decide a favore di quelle signore. Infatti ora vi sono a Portogruaro molte carrozze; e sì che gli scrigni nostri non godono una gran fama appetto a quelli dei nostri bisnonni. Gli è vero che a quei tempi una carrozza era cosa proprio da re; quando capitava quella dei conti di Fratta era un carnovale per tutta la ragazzaglia della città. La sera, quando non s’andava a teatro, il gioco produceva la veglia ad ora tardissima; anche in ciò si correva dietro alla moda di Venezia: e se questa passione non distruggeva le casate come nella capitale, il merito apparteneva alla prudente liberalità dei mariti. Sui tappeti verdi, invece dei zecchini correvano i soldi; ma questo era un segreto municipale; e nessuno lo avrebbe tradito per tutto l’oro al mondo, e i forestieri, all’udir ri-