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268 | le confessioni d’un ottuagenario. |
casa; quanto a lui, l’ossequio degli illustrissimi provinciali e di tutta una città lo compensava ad usura del pericoloso onore di perorare in Senato. Con gran corredo di casse, di cassoni, di poltrone e di suppellettili, i due maturi sposini s’erano imbarcati in una corriera; e sofferto angosciosamente il lungo martirio della noia e delle zanzare, in cinquanta ore di tragitto per paludi e canali, erano sbarcati sul Lemene alla loro villeggiatura. Così i Veneziani costumavano chiamare ogni lor casa di terraferma, fosse a Milano o a Parigi, nonchè a Portogruaro. Il fiume bagnava appunto il margine del loro giardino; e colà appena giunti, ebbero la consolazione di trovar raccolto quanto di meglio aveva la città in ogni ordine di persone. Il vescovo, monsignore di Sant’Andrea, e molti altri canonici, e preti e professori del seminario, il vice-capitano con sua moglie, e altri dignitari del Governo, il podestà e tutti i magistrati del Comune, il soprintendente dei dazi e il custode della Dogana colle loro rispettive consorti, sorelle e cognate; da ultimo la nobiltà in frotta; e in cinquemila abitanti che sommava la terra, ve n’era tanta da potersene fornire tutte le città della Svizzera che per disgrazia ne mancano. Da Fratta era venuto il conte con la signora contessa e le figlie, il fratello monsignore e l’indivisibile cancelliere. Io poi, che nel frattempo avea dato di me grandi speranze con grandissimi progressi nel latino, aveva ottenuto la grazia segnalata di potermi arrampicare in coda alla carrozza; e così da un cantone inosservato mi fu concesso di godere lo spettacolo di quel solenne ricevimento.
Il nobile patrizio si diportò colla proverbiale affabilità dei Veneziani. Dal vescovo all’ortolano nessuno fu fraudato del favore d’un suo sorriso; al primo baciò l’anello, al secondo diede uno scappellotto coll’uguale modestia. Si volse poi per raccomandare i barcaiuoli, che nello scaricare la mobilia si usassero particolari riguardi alla sua poltrona; ed